
Negli ultimi mesi la domanda che più spesso sento dai clienti è: “Quanto siamo visibili nella ricerca AI?”.
Non è una curiosità accademica: è una conseguenza diretta del cambiamento che stiamo vivendo.
Con l’arrivo delle AI Overviews di Google, e con l’uso crescente di strumenti come Bing Copilot, Perplexity e ChatGPT, i comportamenti di ricerca stanno cambiando. Le persone non cliccano più dieci link dopo una query: spesso si fermano alla prima risposta generata dall’intelligenza artificiale.
Il risultato? Molti siti stanno vedendo un calo di traffico organico che va dal 30% al 70%. Un dato impressionante, soprattutto se pensiamo che non è legato a un aggiornamento dell’algoritmo di Google, ma a un cambio strutturale nel modo in cui l’informazione viene distribuita.
Le agenzie SEO più veloci ad adattarsi hanno iniziato a integrare nei propri servizi un nuovo approccio: la GEO (Generative Engine Optimization). E non si tratta di un dettaglio da aggiungere alla fine: è un servizio che alcune propongono già come extra da $4.000 al mese, segno che la domanda da parte delle aziende è concreta.
1. Audit di visibilità AI: il punto di partenza
Prima di parlare di strategie, serve capire come un brand “appare” nelle risposte generate dall’AI.
Il metodo più efficace è semplice ma rivelatore:
- scegli 5-10 keyword strategiche per l’azienda (sia branded che non-branded);
- testa queste keyword su diversi motori AI: Google AI Overviews, Bing Copilot, Perplexity, ChatGPT;
- analizza i risultati ponendoti tre domande:
- Il brand appare?
- Se sì, viene citato per nome o solo utilizzato come fonte implicita?
- Se no, chi occupa quella posizione e perché?
Questo esercizio mette in luce non solo i punti di forza ma soprattutto le aree di vulnerabilità.
2. Interpretare correttamente i risultati
Qui non basta dire “ci siamo” o “non ci siamo”: bisogna distinguere tre scenari.
- Alta visibilità → il brand è menzionato chiaramente come fonte o soluzione. È la situazione ideale: il lavoro di posizionamento paga.
- Visibilità parziale → i contenuti dell’azienda sono usati, ma il nome non è citato. È una forma di “invisibilità brandizzata”: i competitor capitalizzano sull’autorevolezza senza che tu ottenga riconoscimento.
- Assenza totale → altri brand, marketplace o portali informativi hanno preso lo spazio. Qui c’è sia una perdita che un’enorme opportunità di recupero.
3. Spiegare il vero problema ai clienti
Dire “il traffico organico è in calo” non basta più. Le aziende devono capire che non è solo una questione di ranking tradizionali: oggi la mancata presenza nelle risposte AI equivale a sparire da una parte crescente del funnel di ricerca.
Un buon audit deve evidenziare:
- differenze tra keyword branded e non-branded;
- confronto tra dati onsite e risposte AI;
- scenari in cui il brand è sostituito da un competitor diretto.
Mostrare questi dati con tabelle e screenshot concreti aiuta a far percepire la gravità (e l’urgenza) della situazione.
4. Integrare SEO e GEO: non scegliere, ma combinare
Molti pensano che la GEO stia sostituendo la SEO. In realtà è il contrario: la GEO è un complemento che nasce dalla SEO ma guarda alle logiche degli LLM (Large Language Models).
Due fattori sono fondamentali:
- Velocità: ciò che conta non è solo il tempo di caricamento, ma il time to first token, ovvero quanto presto un motore AI riesce a leggere un contenuto utile e rilevante.
- Chiarezza: gli LLM hanno bisogno di entità, definizioni nette e frasi dirette. Testi prolissi o vaghi riducono la probabilità che il contenuto venga scelto.
5. Tattiche GEO da applicare subito
Per tradurre la teoria in pratica, ecco alcune linee guida che funzionano già oggi:
- Risposta immediata: nei contenuti chiave, dai subito l’informazione principale. Evita giri di parole.
- Definizione chiara delle entità: nomi di prodotto, categorie, caratteristiche tecniche devono essere coerenti in tutto il sito. Supporta il tutto con schema markup.
- Ottimizzazione tecnica: titoli e H1 chiari, paragrafi introduttivi che vanno dritti al punto, niente elementi che rallentino il rendering.
- Comparazioni dirette: se il tuo pubblico cerca alternative, non aspettare che lo faccia altrove. Offri tu stesso tabelle comparative e confronti trasparenti.
- Gestione delle citazioni esterne: controlla come il brand viene menzionato su altre fonti. Una citazione negativa o incompleta può compromettere la fiducia che l’AI attribuisce al tuo sito.
6. Risultati già concreti
Le agenzie che hanno adottato questo approccio stanno già vedendo:
- recupero del traffico organico perso;
- maggiore visibilità dei contenuti chiave;
- brand citati direttamente nelle risposte AI, non solo usati in background.
In pratica, stanno trasformando un rischio (la perdita di traffico) in un’opportunità: diventare la fonte autorevole per il proprio settore nelle nuove ricerche AI.
Conclusione
Il messaggio è chiaro: la GEO non è una moda passeggera. È la naturale evoluzione della SEO nell’era dell’AI.
Chi offre servizi digitali deve decidere se restare spettatore o diventare protagonista.
I clienti lo stanno già chiedendo: se non lo fai tu, lo farà qualcun altro.
Diventare un’autorità nella AI Search oggi significa garantire al proprio brand (o a quello dei clienti) di continuare a esistere nel percorso decisionale degli utenti.